orto diffuso

Orto diffuso. Progetto per una distribuzione di orti nello spazio urbano
L’orto diffuso è un sistema di produzione di piante da orto (e non solo) che parte dai balconi per raggiungere spazi più ampi, che parte dalla città per raggiungere la campagna, che parte da un singolo individuo (o da una famiglia) per creare una rete sociale, dove le competenze di ciascuno possono diventare un patrimonio comune.


La coltivazione di vegetali utili si sta diffondendo sempre di più nelle città. Dopo l’esempio delle città americane, come New York o San Francisco, anche in Italia si sta assistendo a un interesse crescente per questo tipo di coltivazioni. Gli orti sono di fatto diventati una moda, ma in realtà in città come Milano ci sono sempre stati. Sulle piccole parcelle da coltivare a insalata, pomodori. patate, zucchini…era infatti basata l’economia delle famiglie operaie, che sfruttavano gli ampi spazi vuoti della città, o se erano più fortunate quelli messi a disposizione dalla fabbrica o dal comune, per aiutare il bilancio famigliare.
Orti di questo tipo sono sopravvissuti anche alla trasformazione che ha portato il terziario a prendere il posto delle fabbriche.
Gli orti urbani sono stati sempre concepiti come piccoli appezzamenti di terreno ricavati in aree marginali, la cui coltivazione poteva essere data in gestione a varie persone per la produzione o anche la vendita diretta. Ma il terreno in città è una risorsa troppo preziosa, e negli ultimi anni gli orti si sono progressivamente ridotti. E persino quelli che venivano considerati come esempio di realtà sociale, urbanistica e storica di primo livello, sono scomparsi.

L’orto diffuso non è un orto tradizionale. La città è cambiata, la gente è cambiata, la nostra economia è cambiata. Ma parte da quell’esperienza, o meglio dall’esigenza delle persone che l’hanno vissuta, per non perderla, raccoglierne le radici e procedere alla sua evoluzione.

L’orto diffuso è in realtà un network, che collega gli spazi più immediatamente disponibili (balconi terrazzi, davanzali) con gli spazi più tradizionali. E’ una comunità virtuale ma anche fisica che si  articola attraverso tutte le persone che utilizzano questi spazi per ripensare la città, ma anche la propria vita.

L’orto diffuso ricrea un legame con il territorio, un territorio reale e proprio, non illusorio e immaginato da altri per noi.
Non è isolato rispetto al tessuto della città. Si può espandere e prolungare in altri spazi, come i giardini comunitari costruiti nelle aree abbandonate dalla speculazione edilizia o dal verde urbano di scarsa qualità. Può essere in stretto contatto anche con la campagna e gli spazi che spesso molte famiglie hanno nel luogo di origine da cui provengono.
L’orto comunitario è ormai una pratica conosciuta, che si sta, anche se faticosamente, diffondendo in alcune città. Si tratta di uno spazio dove la gente si ritrova fisicamente.
Ma l’orto diffuso è anche l’orto di una comunità di persone, che mette in condivisione i propri spazi privati per un progetto comune, attraverso il quale può scegliere di avere dei momenti di lavoro collaborativo, scambio di semi, prodotti dell’orto, strumenti di lavoro, trasferimento di competenze, esperienze e storie.

Nel progetto dell’orto diffuso l’utilizzo di strumenti multimediali e di internet diventa un ingrediente importante per mantenere la rete di relazioni, consentire la condivisione di informazioni, permettere  ad altri di conoscere il progetto, rielaborarlo, trasformarlo, e rimetterlo in circolo.

L’orto diffuso non è una resa alla nostra condizione di abitanti delle aree urbane, ma è semmai una reazione, una presa di possesso, una riappropriazione della città secondo un modello lontano da quello della speculazione commerciale ed edilizia. L’orto diffuso ristabilisce il legame tra natura, campagna e città, aprendo i confini dell’area urbana, e crea una base per rendere possibile, in futuro, una diversa progettazione degli spazi urbani.
Non è una resa all’ambiente inquinato in cui viviamo, ma un’azione diretta che contribuisce alla sua trasformazione, e rende ancora più urgente la necessità di far cadere il velo che rende possibile sopportare tutto.
E’ una ribellione contro lo stato di degrado dei quartieri e delle nostre vite, è la pretesa evidente per una città che non può più essere considerata come un cancro di cemento, ma può tornare a essere collegata con l’ecosistema che la circonda, perché a esso deve appartenere.

E’ la dimostrazione che tutto è possibile, se lo immaginiamo e lo vogliamo, compresa l’utopia di ampliare lo spazio, che sembra sempre troppo piccolo, che abbiamo a disposizione nelle nostre case. L’orto diffuso dunque è un’occasione per espandere oltre i soliti confini la città, le proprie capacità pratiche, la propria rete di relazioni, la nostra connessione con la natura e la nostra appartenenza al mondo organico.
Un terrazzo, ma anche un balcone, o persino il davanzale di una finestra hanno superfici che si possono sorprendentemente ampliare e che portano a scoprire una fruizione dello spazio diversa da quella, claustrofobica, a cui siamo sottoposti. L’orto diffuso inoltre altera le abitudini che ci rendono spesso schiavi di un modo di fare che non corrisponde alla nostra natura, e ci propone invece di sincronizzarci su una scansione del tempo più simile a quella degli altri esseri viventi e più adatta alla nostra biologia.
Paradossalmente la dipendenza da un ritmo, invece di renderci schiavi, aumenta la nostra indipendenza e la nostra autonomia.

Tramite l’orto diffuso si propone di sperimentare anche forme di autonomia economica, che non si sostituiscono, ovvio, ad altre. ma le integrano, e comunque sottolineano l’importanza di riappropriarsi, anche se in minima parte,  delle risorse di cui abbiamo bisogno. La pratica del giardinaggio, con la sua manualità, l’organizzazione dello spazio disponibile, impone una disciplina di presa di coscienza della realtà, delle piccole cose che contano molto, costringe a una attenzione al particolare, alla adozione di un ritmo  molto diverso da quello che viene imposto dalle strade di grande scorrimento, dalle automobili e da edifici intorno ai quali fa paura perfino camminare. E serve a ricordarci che il cibo non è un prodotto del supermarket, ma il risultato della lavorazione del suolo e della combinazione di elementi che nell’attuiale modello di organizzazione sociale e produttiva sfuggono al nostro controllo.

In pratica.
Il progetto si svilupperà attraverso le seguenti fasi: nella prima, di analisi, verrà condotto un censimento degli spazi coltivabili, per individuare le caratteristiche microclimatiche, le superfici disponibili le piante più adatte per quelle condizioni. I dati verranno messi su una mappa interattiva (tipo Google), sulla quale compariranno anche le altre aree a orto tradizionale, ma anche le aree abbandonate, dove sarebbe interessante creare un orto comunitario. Un rilevamento gps permetterà di calcolare tutte le superfici dedicate agli orti per dimostrare la richiesta di verde.
Le sementi verranno procurate tra fornitori di sementi autoctone italiane, se possibile biologiche.
Nella seconda fase saranno sviluppati due percorsi consecutivi, il primo informativo, il secondo pratico.
L’attività informativa verrà articolata con incontri, o chat, mailing list e forum per poter scambiare conoscenze e informazioni su tecniche di coltivazione (semina, eliminazione parassiti, concimazione…), gestualità e pratiche a basso impatto,  estetica dell’orto (accostamenti, forme, profumi), organizzazione degli spazi (vasi, tutori, contenitori verticali), comportamento delle piante (epoca di fioritura, malattie…), utilità delle piante (potere nutritivo, ma anche, per le erbe medicinali, quello curativo).
L’attività pratica comprende la verifica dell’utilità economica dell’orto diffuso. Verranno dunque anche organizzati sistemi di monitoraggio per verificare anche questo aspetto. Poiché l’iniziativa parte da un gruppo di persone aderenti a un Gruppo di acquisto solidale, si analizzerà il bilancio famigliare in funzione degli acquisti e delle produzioni alternative.
E visto che la cultura alimentare inevitabilmente interessa chi vuole un approccio diverso con l’economia del cibo,  ci sarà anche l’occasione per sperimentare insieme la cucina a basso impatto, analizzando ricette e metodi di preparazione, provenienze e percorsi degli ingredienti, il loro chilometraggio, i loro costi.
Infine verrà facilitato lo scambio di sementi (piantine, tuberi, bulbi e talee) e informazioni con chi possiede orti in campagna e con chi frequenta gli orti cittadini e verranno incentivate le iniziative di organizzazione di orti comunitari cittadini su spazi più ampi, dove mettere in pratica (e seminare) quanto si fa sul balcone.
E saranno studiate forme di sensibilizzazione e di lobbying presso le autorità locali e nazionali al fine di ottenere ascolto, attenzione, legittimazione, riconoscimento, nuovi spazi per estendere e approfondire il progetto.

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